Storia

La Diocesi di Alife-Caiazzo è stata eretta il 30 settembre 1986 dal Papa Giovanni Paolo II, che, all’interno di un più vasto programma di riordino delle Circoscrizioni ecclesiastiche italiane, provvide a fondere le due antiche Chiese di Alife e di Caiazzo, già unite in persona Episcopi dal 1978, nominando primo Vescovo S. E. Mons. Angelo Campagna, fino a quel momento pastore delle due precedenti Comunità diocesane.
Attualmente la Diocesi di Alife-Caiazzo conta circa 70mila abitanti e 44 parrocchie su un territorio di 580 km².

L’episcopato alifano
Alife, città di origine osca o sannita, a lungo in lotta con Roma (343-290 a.C.) fu distrutta durante le guerre sannitiche. Riedificata come oppidum, incorporata come praefectura sine suffragio nella repubblica romana, municipium Romanorum, con governo proprio di decurioni, decemviri, questori, censori, edili e pontefici, secondo qualche storico, ascoltò il primo annuncio del Vangelo addirittura da San Pietro. Secondo altri, l’episcopato alifano risalirebbe all’epoca degli Apostoli o a quella costantiniana (314/315). Sicuramente nel 533 il cristianesimo era diffuso in tutto il territorio, come dimostra la lapide tombale di due fratellini, detti «cristiani», ritrovata dal vescovo Agustin nel Casale di San Gregorio.
Il primo vescovo di cui si hanno notizie è Clarus, che partecipò ai Concili romani di papa Simmaco nel 499 e nel 501. Un’incisione e relativo epitaffio ritrovati dietro un frammento di calendario alifano, dà notizia del vescovo Severo, vissuto nel VI secolo. Durante l’invasione longobarda Alife restò senza pastore. Nell’876, insieme alla Città, fu distrutta dai Saraceni l’antica Cattedrale, situata fra Porta Romana e Porta degli Angioli (odierna Porta Piedimonte). Il 26 maggio 969, Giovanni XIII nominò arcivescovo di Benevento, Landolfo, attribuendogli la facoltà di eleggere vescovi suffraganei, fra i quali quello di Alife.

Alife, Cattedrale, cupola del transetto e affresco dell’altare maggiore

L’inizio del secondo Millennio vide il succedersi di molti vescovi, ricordati in epigrafi della cripta della Cattedrale. Nella seconda metà dell’XI secolo e in particolare con la conquista del territorio alifano da parte della famiglia normanna Quarell Drengot, l’episcopato conobbe momenti di gloria e di splendore, e Rainulfo III, conte di Alife, Caiazzo e Aversa, chiese e ottenne, nel 1132, dall’antipapa Anacleto Il le reliquie di San Sisto I, papa e martire, divenuto poi protettore della città e della Diocesi. Per custodire le sue spoglie fu edificata una nuova Cattedrale che nel corso dei secoli, per diverse cause, ha subito numerose trasformazioni e ricostruzioni; attualmente è dedicata a Santa Maria Assunta. Durante il Medioevo l’episcopato alifano ebbe grande splendore. Fra i tanti vescovi, se ne distinsero due: Alferio, eletto vescovo nel 1252 e trasferito nel 1254 a Viterbo; e Giovanni De Alferis, grazie al quale fu salvato il prezioso manoscritto Gli arcani historici dello zio Niccolò Alunno, gran consigliere del re Ladislao. Anche nel XV e XVI secolo la diocesi visse momenti di splendore per la presenza di presuli, le cui qualità erano e sono riconosciute da tutti. Fra i tanti, il letterato Sebastiano Pighi, vescovo dal 1546 al 1547, nominato poi cardinale; il colto Antonio Agostino da Saragozza, inviato in Inghilterra come nunzio dal papa Giulio III per le nozze di Filippo II di Spagna con Maria Tudor; Giacomo Gilberto de Nogueras, cappellano della regina di Boemia e dell’arciduca Ferdinando, che fu fra i più attivi partecipanti al Concilio di Trento. Mentre la diocesi era retta da grandi vescovi, la città di Alife, governata da famiglie spagnole, fra le quali i Garlon, viveva momenti di declino tanto da spingere il vescovo de Nogueras a trasferirsi a Piedimonte d’Alife (oggi Piedimonte Matese), residenza mantenuta dai vescovi successivi fino al presente. Tra il XVII e il XVIII secolo, alcuni vescovi legarono il loro nome a importanti iniziative: il 10 giugno 1651, Pietro Paolo de Medici fondò il Seminario diocesano in Castello d’Alife (oggi Castello del Matese), e Giuseppe de Lazzara lo trasferì nell’attuale sede di Piedimonte Matese.

Il 7 giugno 1818, papa Pio VII soppresse la diocesi di Alife con la bolla De utiliori dominicae, e solo il 14 dicembre 1820 il vescovo Emilio Gentile ne ottenne il ripristino con la bolla Adorandi e l’accorpamento alla diocesi di Telese. Fra i presuli alifano-telesini meritano menzione Raffaele Longobardi, Giovanni Battista de Martino e soprattutto Carlo Puoti. Il 6 luglio 1852, la diocesi fu separata da Telese, e Gennaro Di Giacomo, discussa figura di vescovo risorgimentale e già vescovo delle diocesi unite, optò per Alife. La storia diocesana del XX secolo è contraddistinta da momenti di grande intensità in cui si distinsero illustri figure di vescovi, come Luigi Noviello, napoletano, che resse la Diocesi dal 1930 al 1947, durante il secondo Conflitto mondiale e l’occupazione tedesca; Virginio Dondeo, cremonese, giovane e dinamico Pastore che fu evangelizzatore coraggioso e attento alla promozione del territorio e alla purificazione della pietà popolare, poi vescovo di Todi e Orvieto: a testimonianza del suo magistero rimangono le Lettere pastorali pubblicate in occasione della quaresima. A lui successe Mons. Raffaele Pellecchia, avellinese, in seguito arcivescovo di Sorrento e Castellammare di Stabia, che partecipò al Concilio Ecumenico Vaticano Il, avviando in Diocesi una bella stagione di rinnovamento ecclesiale come emerge dalle sue annuali Lettere pastorali.

L’episcopato caiatino
La città di Caiazzo vanta origini antichissime, anteriori anche alla stessa Roma, come testimoniano alcuni ruderi di mura ciclopiche in località Fossi. Nella sua lunga storia, annovera fra i propri cittadini personaggi illustri, come Aulo Attilio Caiatino, due volte console e dittatore in Roma e, come sostenuto da qualche storico locale, il famoso Pier delle Vigne. Secondo un’antica leggenda popolare, l’evangelizzazione della città di Caiazzo sarebbe stata opera dell’apostolo Pietro o di San Prisco, uno dei settantadue discepoli di Gesù, che ne sarebbe stato anche il primo vescovo. Essa si collegherebbe al viaggio che San Pietro avrebbe intrapreso da Napoli a Roma, dopo aver ordinato vescovo Sant’Aspreno. A conferma di tale tradizione, si fa riferimento ad un antico tempio sotterraneo, le cui tracce sono state rinvenute sotto la settecentesca chiesa di San Pietro del Franco. Non si hanno notizie certe sulle origini dell’episcopato caiatino, anche se taluni le fanno risalire all’anno 70 dell’era volgare, quando era vescovo Arrigo o Argisio Seniore. La reggenza ininterrotta dei vescovi risale solo al 966, con l’elezione a vescovo di Orso, che coincise con l’elevazione della Diocesi di Capua a sede metropolitana, sotto l’arcivescovato di Giovanni, fratello di Pandolfo Capodiferro. La figura episcopale più rappresentativa del Medioevo è quella di Santo Stefano Menecillo, ordinato vescovo nel 979: resse la diocesi per quarantaquattro anni con grande spirito evangelico, e molti furono i prodigi che il Signore operò per mezzo di lui, tanto che i cittadini lo vollero come patrono della città.

Caiazzo, Concattedrale. La tomba in cui nel 1512 fu rinvenuto il corpo di Santo Stefano Menecillo

Al suo fianco si pone un altro santo vescovo caiatino: San Ferdinando d’Aragona, che resse la Diocesi tra il 1070 e il 1082.
Furono spesso di origine caiatina i vescovi del Duecento e Trecento, fra i quali si ricordano Almondo, Nicola e Andrea, di cui testimoniano la vitalità molti atti e bolle conservati nell’archivio vescovile. Nei successivi due secoli la Diocesi fu spesso retta da cardinali, fra i quali Oliviero Carafa, successivamente arcivescovo di Napoli; Antonio del Monte; Ascanio Parisano di Tolentino, poi trasferito a Rimini. In quel periodo fu forte il legame fra il clero e le nobili famiglie locali, tanto che alcuni membri di queste, come ad esempio Giuliano, Alessandro e Fabio Mirto Frangipane, furono consacrati vescovi. Quest’ultimo, in particolare, presentato da San Carlo Borromeo, fu scelto come segretario del Concilio di Trento e legò il suo nome alla nascita del Seminario diocesano avvenuta nel 1564; per le sue doti diplomatiche, fu nominato arcivescovo di Nazareth. Va ricordato infine Ottavio Mirto Frangipane, abate di San Benedetto in Capua, nominato da Sisto V governatore di Bologna, poi nunzio apostolico a Colonia e arcivescovo di Taranto.

Nel XVII secolo spicca su tutti il vescovo Filippo Benedetto de Sio per le sue doti di pastore e soprattutto per aver fatto aprire, a sue spese, un varco nelle mura cittadine – oggi Porta Pace – per sancire la pace tra lui e il marchese Giovanni Corsi, al fine di facilitare l’ingresso ai giardini dell’episcopio. Nei successivi due secoli molti pastori hanno guidato con saggezza la Diocesi, ma solo con il vescovo Nicola Maria Di Girolamo furono vissuti momenti importanti: due sinodi (1928 e 1935) e due congressi eucaristici, nel 1928 e nel 1935, il secondo dei quali coincise con il primo millenario della nascita di Santo Stefano. Durante le menzionate celebrazioni fu effettuata la ricognizione delle reliquie del Santo, poste in una nuova urna, dono di Papa Pio XI, dopo che la Biblioteca Apostolica Vaticana, acquisiva 11 pregiati codici caiatini, entrati a far parte del Fondo Vaticano Latino ai numeri 14726-14735 e 14446.
Mons. Di Girolamo partecipò anche alle prime sessioni del Concilio Ecumenico Vaticano II.