Un nuovo prete per Alife-Caiazzo. Don Alessandro Occhibove è “sacerdote in eterno”

Il vescovo Di Cerbo: «L’invio “a due a due” ti ricorda che l’evangelizzazione non è opera di singoli, ma azione squisitamente corale di quanti vivono la logica del “noi”»

La Parola di Dio ha parlato. L’intera celebrazione ha risuonato della voce che accompagna, che indica la strada; è la Voce che invita a profetizzare, ad annunciare la pace, ad andaretestimoniare.
Un dono, per l’ordinazione presbiterale di don Alessandro l’intera liturgia, che nelle Letture proclamate ha consegnato al giovane prete la Magna charta, il vademecum per la propria vita sacerdotale. L’ha definita così, il Vescovo Valentino, la Sacra scrittura di questa XV domenica del tempo ordinario, in occasione di una celebrazione gremita di persone e partecipata con preghiera e commozione.

La mamma, i fratelli, la nonna; i Sacerdoti diocesani e “romani”, quelli legati all’esperienza formativa che don Alessandro ha compiuto nella Capitale durante i sette anni di cammino vocazionale e di studi filosofico e teologico; i compagni di classe di questa ricca esperienza; i compagni di classe del Liceo di Piedimonte Matese; i giovani di Alife e l’intera comunità locale; la comunità di Letino, il piccolo centro della Diocesi a quota 961 metri, dove da seminarista ha affiancato il parroco nelle attività pastorali; i Missionari del Preziosissimo Sangue; il Sindaco di Alife, Maria Luisa Di Tommaso; il Vescovo Mons. Valentino Di Cerbo e i seminaristi di Alife-Caiazzo: intorno a don Alessandro davvero tutti per accompagnarlo ed essergli vicini nel giorno del suo  più importante, definitivo alla Chiesa di Cristo; un sì di obbedienza e servizio, di lavoro e dedizione, di passione e “prossimità” secondo lo stile indicato dal Vescovo nella sua omelia.
Richiamando le parole di due noti canti tanto cari alla Chiesa, Mons. Di Cerbo ha sottolineato come il convergere di tante persone intorno alla festa di Alessandro sia stata la risposta ad una storia iniziata alcuni anni fa e frutto, oggi, di tanti incontri, relazioni, belle amicizie che in questa circostanza si sono ritrovate per un corale grazie al Signore: “Siamo arrivati da mille strade diverse, in mille modi diversi…”; “Ci ha riuniti tutti insieme Cristo amore, godiamo esultanti nel Signore”.
(Scarica il testo integrale dell’Omelia).

La prima e la seconda Lettura hanno anticipato la missione affidata nel Vangelo ai Dodici che Gesù chiamò e mandò “a due a due”; “Il Signore mi prese, mi chiamò…e mi disse: Và profetizza al mio popolo Israele”, il versetto del profeta Amos, ripreso dal Vescovo è stato per dire «che la scelta di essere sacerdote, prima di essere tua, è sua», così come avviene nella Lettera di San Paolo agli Efesini in cui risuona l’invito «ad essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà» (Ef 1,5).

«La pagina del Vangelo di Marco, che abbiamo letto arriva come dono provvidenziale in questa liturgia di Ordinazione e ci offre quasi la Magna carta di una chiesa che vuole restare fedele alla missione ricevuta, richiamando da vicino i contenuti delle Beatitudini. Opportunamente essa ti viene proposta in questo giorno, come il vademecum del tuo presbiterato», così paternamente Mons, Di Cerbo.
«Chiamò a sé i dodici e prese a mandarli a due a due” (Mc 6,7).Essa “Ti dice innanzitutto che nella vita dell’apostolo ci sono non uno, ma due movimenti: chiamare/inviare, nel senso che la sua vita non è soltanto un segno di predilezione, ma un dono per i fratelli e che quando si offusca uno dei due movimenti, la vita dell’apostolo rischia di svilirsi, di diventare sale senza sapore».

È in questa dinamica relazionale, di carità, servizio, ascolto, accoglienza che trova pienezza la vita del sacerdote chiamata ad essere un “gioco di squadra”, come ha più volte sottolineato il Vescovo.
», “fanno squadra” in terra, come il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo in cielo. Questa tua identità di “uomo di squadra”, te la ricorda anche il rito dell’Ordinazione, quando parla del presbitero come “fedele cooperatore dell’Ordine dei vescovi nel servizio del popolo di Dio” e quando ti ricorda il tuo rapporto con i confratelli, che coinvolge nella imposizione delle mani sul tuo capo e invita ad accoglierti con l’abbraccio di pace. Oggi, a rigore, tu non ricevi i poteri di uno che è chiamato a “lavorare in proprio”, non diventi uno stregone cattolico, ma nasci in una famiglia, il presbiterio diocesano, che intorno al Vescovo è chiamata a continuare la missione di Gesù in questo territorio».

E condizione imprescindibile di questo servizio/ministero, la povertà, quella che spoglia il prete di sé, di onorificenze, di visibilità e rivestendolo di sola umiltà, lo rende uomo di Dio tra la gente, testimone autentico del Vangelo.
Un esempio concreto ha portato Mons. Di Cerbo al giovane Alessandro, quello di don Giacomo Vitale, originario di San Gregorio Matese proprio come la sua famiglia, per dire la grandezza di un grande uomo di cultura capace di essere testimone di una Chiesa in uscita nell’azione costante e coraggiosa di essere dalla parte della gente povera: «Un bell’esempio di prete di una Chiesa in uscita era il nostro don Giacomo Vitale (1883-1947), proveniente da S. Gregorio Matese, come la tua famiglia. Egli, docente brillante e coltissimo, alunno e amico del Beato Giuseppe Toniolo, aveva ben individuato questa esigenza, e pur impegnatissimo come docente in Seminario e come studioso, dedicava tempo e passione a difendere i poveri pastori del suo paese dai soprusi dei signorotti locali».
In un reparto speciale di Dio! In questo spazio il Vescovo vede oggi collocato don Alessandro «che proprio te, sì proprio  te, Egli ha inserito nel reparto speciale, il sacerdozio ministeriale, di quel Popolo cui ha affidato il bene dell’umanità».

Fonte www.clarusonline.it