Anno della Fede, cercando con il Signore un rapporto “singolare”

Chiesa Cattedrale. Chiusura del Giubileo diocesano e apertura dell'Anno della Fede
14-10-2012

Abbiamo chiuso la porta e siamo entrati nella casa, dove ci attende il Signore Gesù. Egli ci assicura che la porta della misericordia di Dio è sempre aperta e ci invita a stare con Lui, a fare esperienza di Lui: esperienza di ascolto, di comunione, di fraternità, di servizio, di pace.

Cosa diremo al Signore al termine del Giubileo diocesano, nel quale abbiamo percorso la trama d’oro che Egli ha tessuto nella storia degli uomini e delle donne della nostra Terra? Cosa gli prometteremo a conclusione di questo anno di grazia, nel quale abbiamo, altresì, constatato con dolore i limiti che talora opponiamo alla sua azione di salvezza, le nostre difficoltà ad annunciare buone notizie in suo nome, la fatica della semina e la scarsità del raccolto, soprattutto tra le nuove generazioni? Gli diremo grazie per il fiume d’amore con cui ha irrigato il deserto delle nostre vite; gli chiederemo perdono degli ostacoli posti da noi alla sua grazia, ma ci porremo ancora nelle sue mani per guardare il futuro e gettare le reti sulla sua parola. Ci accompagnerà la certezza che lui è con noi “tutti i giorni, sino alla fine del mondo” (Mt 10,9).

Davanti a lui porremo il nostro tempo, così ambiguo e così ricco di fermenti di umanità, e le grandi trasformazioni sociali e culturali, che hanno cambiato il nostro modo di accostarci alla vita e di gestirla e che ci stimolano ad annunciare il Vangelo con coraggio e creatività nuova. Soprattutto gli chiederemo di aiutarci a non pensare che la fede si trasmette moltiplicando iniziative e occupando spazi pubblici. Questo modo di fare ci illude di dare alla presenza della Chiesa e del Vangelo un certo prestigio sociale e un certo potere sugli uomini, ma qui “nella casa”, in un contesto di intimità che nasce quando si chiude la porta e la famiglia si trova insieme, Egli ci ricorda che non il prestigio mondano ottenuto dai credenti, ma solo l’intimità con Lui ci forma e ci introduce a quel modo di pensare, di vivere e di sperare che costruisce vita nuova e salvezza per l’umanità.

Ma dove nasce quel rapporto singolare con il Signore che rende noi cristiani persone speciali che recano buone notizie e che sono “fermento ed anima del mondo”? Lo sappiamo, c’è una sola strada: la preghiera. Nell’intimità della casa in cui Lui ci ha portato ci dobbiamo domandare: siamo ancora capaci di pregare col cuore, nel segreto dei nostri appartamenti, nel silenzio delle nostre Chiese e nella ferialità della nostre vite? Quanto tempo dedichiamo alla preghiera personale noi sacerdoti, noi cristiani impegnati, noi famiglie che pratichiamo la chiesa? Dal passato ci giungono le voci di cristiani “sapienti”, capaci cioè di leggere la storia alla luce di Dio e quindi di fermentare il mondo con la fede e la testimonianza delle opere del Vangelo. Esse ci parlano del “gran mezzo della preghiera” e ci invitano a incontrare il Signore, ad impastare di riferimenti pieni di amore e di fiducia in Dio le nostre giornate. E’ questa la via per trasformare il mondo. Come terremo insieme i matrimoni, come potremo pretendere che il seme di vocazioni sacerdotali e religiose fiorisca nelle nostre famiglie, come potremo educare i giovani alla vita buona del Vangelo, come promuoveremo la legalità nella nostra terra, come potremo essere strumenti di pace e sperare in una società di onesti e di uguali, in cui i poveri siedono con gli altri alla mensa della vita, se continueremo a chiudere gli spazi delle nostre giornate all’ascolto e all’invocazione di Dio, cioè a quell’ “inutile necessario”, come qualcuno ha definito la preghiera?

Nella mia vita di cristiano e di sacerdote, ho portato sempre con me tre immagini che hanno guidato e sostenuto la mia fede anche nei momenti difficili e hanno rimesso le ali alla mia consacrazione al Signore: la preghiera dei miei genitori, del mio parroco, della mia catechista. Possiamo dire che chi guarda a noi oggi, conserverà le stesse immagini? O si ricorderà soltanto della nostra partecipazione a momenti di devozione tradizionale, del nostro attivismo per organizzare manifestazioni, eventi, pellegrinaggi, celebrazioni plateali che soddisfano la curiosità, ma non cambiano il cuore ed altre attività interessanti, ma spesso dettate da quell’eresia dell’azione che pervade troppo la vita dei cristiani di oggi?

Stasera diamo inizio nella nostra Diocesi all’Anno della Fede, voluto dal Santo Padre Benedetto XVI a cinquant’anni dell’inizio del Concilio Vaticano II e che lui stesso ha aperto presso la tomba di San Pietro, lo scorso 11 ottobre. Nell’omelia il Papa ha ricordato che questo tempo di grazia vuole essere una risposta al bisogno di Dio già avvertito dai Padri Conciliari e che oggi appare ancora più pressante nella “desertificazione spirituale” di un mondo che, avendo messo tra parentesi il Trascendente, genera vuoto. Tuttavia, il Santo Padre ci ricorda che è “proprio dall’esperienza di questo deserto, di questo vuoto, che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne. Nel deserto si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita. E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che con la loro stessa vita indicano la via verso la Terra promessa e così tengono desta la speranza (Omelia 11 ottobre 2012).

Cari fratelli e care sorelle, iniziando l’Anno della fede, vorrei che il nostro primo impegno fosse quello di incontrare il Signore per continuare a dirgli: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte, ma sulla tua parola getterò le reti” e, sperimentando la sua vicinanza, affermare con stupore sempre nuovo: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore”. In questo Anno speciale, vorrei vedere le nostre chiese, non soltanto come ambienti dove ci si incontra e si organizzano celebrazioni speciali, ma luoghi pieni di fascino in cui tante persone da sole, in qualsiasi ora del giorno, passano per incontrare il Signore presente nella Eucaristia. Vorrei, altresì, che il pensiero di Dio e del suo amore per noi, pervadesse e fecondasse le nostre giornate.

Questa frequentazione costante con Colui che si è fatto pane e ha posto la sua tenda in mezzo a noi, ci aiuterà a “pensare come lui, ad amare, come lui, a perdonare come lui a sperare come lui ci insegna” e a sentire il bisogno di uscire dalle nostre case e dalle nostre Chiese per portare liete notizie ai poveri, agli sconsolati, ai senza lavoro, alle famiglie che soffrono le divisioni o la violenza. Penso che proprio il puntare più sull’organizzazione che sull’incontro con il Signore, rischia di chiuderci troppo dentro i problemi delle nostre comunità o di renderci incapaci di dire e testimoniare cose nuove agli uomini e alle donne del nostro tempo.

In questo Anno della Fede, ci accompagni Maria, la prima credente, e ci aiuti a riscoprire il gusto della preghiera, ad incontrare Gesù e a pensarci come tempio santo di Dio, dove abita lo Spirito (I Cor 3,16), per guardare con responsabilità ed amore al deserto del mondo in cui tante pecore hanno bisogno di essere guidate all’acqua viva che è Cristo. Di questo siamo debitori ai nostri fratelli, perché noi cristiani siamo la speranza del mondo.

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