Ordinazione presbiterale don Alessandro Occhibove

Chiesa Cattedrale
14-07-2018

Caro don Alessandro, oggi si avvera per te la Parola del Vangelo che abbiamo ascoltata. Oggi il Signore chiama a sé anche te e ti mette in viaggio per cambiare il mondo secondo il suo progetto d’amore, convertire i fratelli, essere alternativo a chi divide e contrappone, ungere con l’olio della consolazione e guarire dal male e dal peccato, cioè ristabilire bellezza e giustizia.
Da oggi anche alla tua vita è affidata la realizzazione di quel mistero grande di cui ci parla la seconda lettura, quel disegno che il Padre da sempre progetta per gli uomini, predestinandoli “ad essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà” (Ef 1,5).
Il dono che oggi ricevi devi leggerlo sempre nel contesto ampio e meraviglioso del sogno di Dio, per essere fedele alla sua chiamata, evitando di insabbiarla nell’egoismo, nell’interesse individualistico, nel carrierismo, che offuscherebbero la tua vocazione e le farebbero perdere la capacità di donare gioia e di produrre gioia.

A tanto, come suggerisce la prima lettura, ti deve portare anche la considerazione che la scelta di essere sacerdote, prima di essere tua, è sua: “Non ero profeta, né figlio di profeta…. – dice Amos al sacerdote Amasia che gli prospetta vie d’uscita umane convenienti – Il Signore mi prese, mi chiamò… e mi disse: Và profetizza al mio popolo Israele” (Am 7, 14-15). La lettura della tua vita a partire dalla sua chiamata, ti renderà immune da tutte le tentazioni a non appassionarti totalmente al Vangelo e a non osare nello spendere tutta la vita per i fratelli… E ti spingerà a tenerti lontano da quei
criteri umani che appiattiscono e rovinano la vita dell’apostolo, trasformandolo da profeta del Dio vivente in funzionario del tempio.

La pagina del Vangelo di Marco, che abbiamo letto, arriva come dono provvidenziale in questa liturgia di Ordinazione e ci offre quasi la Magna carta di una chiesa che vuole restare fedele alla missione ricevuta, richiamando da vicino i contenuti delle Beatitudini. Opportunamente essa ti viene proposta in questo giorno, come il vademecum del tuo presbiterato.
“Chiamò a sé i dodici e prese a mandarli a due a due” (Mc 6,7). Ti dice innanzitutto che nella vita dell’apostolo ci sono non uno, ma due movimenti: chiamare/inviare, nel senso che la sua vita non è soltanto un segno di predilezione, ma un dono per i fratelli e che quando si offusca uno dei due movimenti, la vita dell’apostolo rischia di svilirsi, di diventare sale senza sapore.
L’ invio “a due a due” poi, se richiama la tradizione ebraica secondo la quale una testimonianza era giuridicamente valida se sostenuta da due persone, nel contesto dice molto di più. Esso ti ricorda innanzitutto che l’annuncio del Vangelo non è trasmesso da parole, ma dall’eloquenza del camminare insieme verso la stessa meta. Essere evangelizzatori, infatti, non significa innanzitutto impartire nozioni su Gesù e il suo insegnamento, ma mostrare le trasformazioni che Egli opera nel nostro quotidiano di preti ed evangelizzatori che si accolgono, si perdonano, si identificano di giorno in giorno con l’Eucaristia che celebrano e sono ministri di una misericordia e di una riconciliazione donata perché sperimentata.

Ma l’invio “ a due a due” ti ricorda altresì che l’evangelizzazione non è opera di singoli, ma azione squisitamente corale di quanti, partecipi dell’unica missione salvifica, vivono la logica del “noi”, “fanno squadra” in terra, come il Padre, il Figlio e lo Spirito santo in cielo. Questa tua identità di “uomo di squadra”, te la ricorda anche il rito dell’Ordinazione, quando parla del presbitero come “fedele cooperatore dell’Ordine dei vescovi nel servizio del popolo di Dio” e quando ti ricorda il tuo rapporto con i confratelli, che coinvolge nella imposizione delle mani sul tuo capo e invita ad accoglierti con l’abbraccio di pace. Oggi, a rigore, tu non ricevi i poteri di uno che è chiamato a “lavorare in proprio”, non diventi uno stregone cattolico, ma nasci in una famiglia, il presbiterio diocesano, che intorno al Vescovo è chiamata a continuare la missione di Gesù in questo territorio.
Analogamente a quanto avviene nel rito del Matrimonio, prima della celebrazione del Sacramento, il vescovo pone all’ordinando alcune domante che costituiscono quasi le condizioni di senso e di possibilità del sacramento
stesso. La promessa di obbedienza, che fra poco ti verrà chiesta insieme alla assunzione di altri importanti impegni legati al ministero del presbiterato, non rappresenta un gesto di cortesia verso il Vescovo presente e futuro, ma la condizione che dà senso al Sacramento che riceverai e lo renderà rispondente alla chiamata del Signore e utile per l’edificazione del Popolo di Dio. Non dimenticare che anche nell’ambito dell’obbedienza ci sono i peccati mortali e veniali. Se gli uni sono devastanti, gli altri appiattiscono e fanno morire lentamente di insignificanza la vita sacerdotale. Questo ti deve impegnare a interrogarti ogni giorno su come vivi realmente l’obbedienza che oggi prometti, perché, senza di essa, il tuo sacerdozio rischia di rimanere un non senso e una contraddizione in terminis.

Il brano di Marco continua indicando le condizioni della missione: “E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare i sandali e di non portare due tuniche” (Mc 6, 8-9). Un elogio della leggerezza quanto mai attuale: per camminare bisogna eliminare il superfluo e andare leggeri, contestando radicalmente il mondo delle cose e del denaro, dell’accumulo e dell’apparire. La povertà infatti è sacramento, cioè segno efficace e concreto della fede in Dio. Gli apostoli devono vivere una vita come quella di Gesù, tutta trasparenza di Dio. Pertanto, la missione della Chiesa e del presbitero a convertire il mondo alla giustizia e alla libertà di Dio è efficace solo nella misura in cui essa prende sul serio la povertà senza la quale non c’è fede, ma solo fumo di parole. Ovviamente povertà non è soltanto privarsi di cose materiali, ma fatto di cuore e atteggiamento permanente che fa affidare la vita totalmente a Dio e sfrondare tutto ciò che non è essenziale nei pensieri, nelle parole e nelle opere.
6. La stessa pericope ricorda poi che la missione si svolge nelle case, tra la gente. “Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti da lì” (Mc 6,10). Il punto di approdo è la casa, il luogo dove la vita nasce ed è più vera. Il Vangelo deve essere significativo nella casa, nei giorni delle lacrime e in quelli della festa. Entrare in casa altrui comporta percepire il mondo con altri colori, profumi, sapori, mettersi nei panni degli altri, mettere al centro non le idee, ma le persone, il vivo dei volti, lasciarsi raggiungere dal dolore e dalla gioia contagiosa della carne. A differenza del sacerdote dell’antico Tempio, l’apostolo è inviato nella vita e alla vita. Troppo spesso lo dimentichiamo, lasciandoci tentare da prospettive di funzionari del sacro. Caro Alessandro, non dimenticare che la missione è un fatto di strada, è buona notizia per le attese, le speranze e le sofferenze degli
uomini e delle donne concrete. E’ opera di una Chiesa in uscita. Ciò significa innanzitutto che non devi attendere che le persone vengano da te, ma che tu devi muoverti verso di loro. Una Chiesa in uscita non è alternativa alla preghiera, ma conseguenza di chi dall’incontro intenso e quotidiano con il Signore ha imparato a sintonizzarsi con il suo cuore e a farsi carico delle storie dei fratelli. Pertanto, non sentirti appagato quando avrai letto l’ultimo libro del grande teologo del momento, ma quando avrai messo al centro della tua vita e della tua preghiera la gente che ti è affidata dal vescovo con le sue piaghe e i suoi sorrisi e quando, ascoltandola e amandola, avrai imparato ad annunciare il Vangelo. Un bell’esempio di prete di una Chiesa in uscita era il nostro don Giacomo Vitale (1883-1947), proveniente da S. Gregorio Matese, come la tua famiglia. Egli, docente brillante e coltissimo, alunno e amico del Beato Giuseppe Toniolo, aveva ben individuato questa esigenza, e pur impegnatissimo come docente in Seminario e come studioso, dedicava tempo e passione a difendere i poveri pastori del suo paese dai soprusi dei signorotti locali.
L’evangelizzatore sa che è a rischio di non essere accolto, come ci ricorda il Vangelo, ma anche quando è rifiutato, il gesto di scuotere la polvere sotto i piedi, cioè di non identificarsi con le impurità e i difetti della gente, deve essere fatto “come testimonianza per loro”, cioè deve continuare ad essere un atto d’amore, che esprime e condivide la passione del Signore per la loro vita. Ti auguro di continuare a vivere in questo stile di prossimità, di impegno e di serietà: saranno la migliore garanzia della riuscita del tuo sacerdozio.

“Partiti proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano” (Mc 6,13). Così si conclude il brano del Vangelo dell’odierna liturgia. Cioè attraverso i Dodici nel mondo inizia e germina il Regno di Dio. Caro Alessandro, oggi il Signore ti affida un posto speciale nella sua squadra, quella cui ha affidato i sorrisi e la fioritura del mondo. Ti auguro che ogni giorno, incrociando i tuoi occhi con quelli del Signore nella preghiera , ricominci a stupirti e ad essere felice e onorato che proprio te, sì proprio te, egli ha inserito nel reparto speciale, il sacerdozio ministeriale, di quel Popolo cui ha affidato il bene dell’umanità.
In questo bellissimo momento di festa e di grazia ti siamo tutti vicini e ti affidiamo a Maria, la Madre della Fiducia, colei che ci educa ad essere “figli nel Figlio” e a guardare il mondo con la passione e la premura di colui che ama e, come il Padre, sogna la bellezza e la felicità di tutti.

Piazza Vescovado, Alife, CE, Italia